Le vie della cocaina
Carissimi soci e amici del Celim Bergamo, pubblichiamo di seguito la testimonianza “Le vie della cocaina” che ci giunge da Luciano Invernizzi (Cochabamba) con un interessante approfondimento sulle vie del commercio e circolazione della cocaina in Bolivia e nei Paesi limitrofi.
L’ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il delitto (Unodc) con sede in Bolivia, nella sua relazione periodica scrive che nel 2021 si distrussero 28 tonnellate di droga, tra pasta base, cloridrato di cocaina e marijuana. Sono 10.935 kg di pasta base, 7.328 di cloridrato di cocaina e sequestro di 9.766 kg di marijuana, per un totale di 28.029 kg di stupefacenti, secondo Thierry Rostan, rappresentante di questo ufficio in La Paz.
La Unodc dà validità a questa informazione presenziando alla distruzione di droghe illegali in Bolivia, un programma finanziato dalla Unione Europea. Anche il Ministro degli Interni, Eduardo Del Castillo, presentando i risultati della “erradicacion” della coca illegale, accusò al governo transitorio di Jeanine Añez per l’incremento delle piantagioni durante la sua presidenza, nel 2020. Sono state eliminate 9.457 ettari di coca eccedentaria, con l’idea di arrivare ai 22.000 ettari stipulati nella legge Generale della Coca, perché’ nel Paese ci sono ancora 29.400 ettari coltivati in totale. Nella gestione della Presidente, Jaenine Añez, disse il Ministro, si sradicarono 1.770 ettari, pur “avendo noi meno presupposto, meno logistica ed in minor tempo abbiamo superato la meta”. Si è arrivati, disse il colonnello C. Moya, del comando strategico operazionale, a ridurre una superficie maggiore di “cocales” grazie all’accordo con i sindacati produttori del tropico di Cochabamba. Nella zona dello Yungas si arrivò ad accordi per “razionalizzare” 834 ettari di coltivazioni e si utilizzarono mezzi coercitivi per sradicare 1.088 ettari. In Chapare razionalizzati 4.389 ettari e si utilizzò l’esercito per eliminare 3.145 ettari. I dirigenti e le autorità del luogo collaborarono e facilitarono il lavoro di riduzione della coca illegale, seguendo il modello boliviano “di rispetto dei diritti umani” e tutte le operazioni ed interventi furono con la presenza del personale di Unodc, che sempre seguono e controllano le aree coltivate.
L’Unione Europea, che continua con appoggio istituzionale e finanziamenti per questa lotta alle droghe, offrì un ulteriore aiuto di 60 milioni di dollari per affrontare il narcotraffico. Nella regione andina, Bolivia ha un 11% di coltivazioni di coca ed il restante 89% se lo dividono Colombia e Perù. Bolivia ha 29.400 ettari di coltivazioni a coca, Perù 68.000 e Colombia 143.000 ettari. Confidiamo che Bolivia faccia la sua parte, disse il rappresentante UE, J.Schreiber, perché’ diminuisca l’area di coltivazione della foglia di coca alla quantità stabilita dalle legge, che è di 22.000 ettari.
È risaputo che ci sono 5 corridoi per l’uscita della cocaina prodotta in Bolivia. Brasile è la via più usata ed ora anche il cammino via Paraguay si sta consolidando. Continuano le tradizionali rotte verso Argentina e Cile e la nuova, ultima, è via i Caraibi, passando da qui agli Stati Uniti e Europa. Continua l’arrivo dal Perù della pasta base anche se c’è produzione di cocaina in territorio boliviano. Nella zona del Chaco, Tarija, sono stati trovati laboratori di raffinazione e piste clandestine, secondo la Felcn (la Forza speciale dell’esercito contro il narcotraffico). La ragione è facile da intendere: la tripla frontiera che compartono Brasile, Paraguay e Argentina è un transito obbligato per la cocaina boliviana, anche se il “negocio”, gli affari, sono in mano a mafie brasiliane, soprattutto le due più temibili, come il “Comando de la Capital (PCC)” e il “Comando Vermelho” che, secondo la polizia, fanno affari con similari del Medio Oriente come l’Hezbollah libanese, portando la droga, che arriva anche dalla Colombia, fino in Europa e Asia. È la stessa polizia paraguaya che ha trovato che la droga boliviana sbarca in Paraguay dopo aver navigato la idrovia Parana-Paraguay, affermando che l’Hezbollah è da sempre presente quando si tratta di carichi di droga: il suo feudo, la Vallata di Bekaa, in Libano, è una delle maggiori regioni produttrici di oppio e hashish del mondo. Secondo la DEA nordamericana c’è una struttura gerarchica, all’interno di Hezbollah, che si incarica di queste azioni illecite dal 2007.
Oltre ai buoni rapporti che hanno anche con il cartello di “Los Zeta” del Messico e la organizzazione di “Envigado” in Colombia. Si è anche scoperto che le grandi mafie permettono o subappaltano a “carteles criollos”, gruppi più piccoli di mafie locali, di Bolivia e Perù, la vendita a gruppi del Medio Oriente. L’ultima scoperta sono appunto i Caraibi: da piste clandestine dell’oriente boliviano parte la cocaina verso paesi centro americani e da qui agli Stati Uniti ed Europa. In queste ultime settimane sono stati scoperti ufficiali di alto rango della polizia che offrivano “sicurezza armata e protezione ai carichi di cocaina, vigilando gli aerei negli aeroporti”. In questo ultimo caso il destino intermedio era Repubblica Dominicana, oltre a Venezuela ed Ecuador e da qui a centroamerica e al nord. L’ultima e più consolidata rotta è via Brasile, la “rotta africana”: da Bolivia via Venezuela o Brasile alle isole di Capo Verde, dove non esiste controllo e da qui a Europa, soprattutto Spagna e Portogallo. A capo di tutto questo le temibili PCC e Comando Vermelho brasiliane. La cocaina boliviana arriva in Brasile con “avionetas”, su piste clandestine, utilizzando anche passi di frontiera illegali dove passano in veicoli carichi di droga. Brasile ha aumentato il controllo del suo spazio aereo con reti di radar per intercettare i “narcovuelos” provenienti dalle 4 regioni boliviane: La Paz, Beni, Pando e Santa Cruz. Verso l’Argentina si utilizzano le “mulas”, persone che portano droga all’interno del proprio corpo o nelle loro valige.
La gendarmeria argentina rivelò che ci sono “avionetas” che arrivano dalla Bolivia e che lanciano borse o sacchi di cocaina in terreni privati. La “pioggia di cocaina” o “pioggia bianca” o “bombardamento di droga” che consiste nel lanciare carichi dalle aeronavi che passano a velocità ridotta ad una altura non superiore ai 15 metri. Alle frontiere ci sono decine e decine di passaggi e rotte illegali e non controllate. In Paraguay, alla frontiera nella zona di Villa Montes, continua il forte traffico ed in Bolivia entra da lì la marihuana paraguaya. Le “mule” ci sono pure verso il Cile, nei passi di frontiera non autorizzati, arrivando la droga da Santa Cruz a Oruro e da qui a Colchane, continua il rapporto colombiano. Ci sono almeno dieci bande criminali presenti nel territorio boliviano e con “rappresentanti” che vendono cocaina nei vari punti del pianeta. Da un rapporto della polizia colombiana e la DEA statunitense si fanno i nomi. Dal Brasile ci sono il Primer Comando de la Capital (PCC) e il Comando Vermelho. Dal Messico il Cartello di Sinaloa e il Cartello Los Zetas.
In Perù Sendero Luminoso. Dalla Colombia il Clan del Golfo (Los Urabeños) el Cartel del Norte del Valle ed i gruppi paramilitari involucrati nel narcotraffico, come le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC), le Autodefensas Campesinas de Casanare (ACC) ed il gruppo Los Rastrojos. Nel rapporto si dice che “queste organizzazioni criminali prendono decisioni di livello strategico nei loro luoghi di origine, mentre in Bolivia unicamente si decidono questioni di tipo tattico. In più la loro capacità economica ha permesso loro, nel paese altiplanico, penetrare e ingraziarsi diverse entità della società civile che hanno contribuito alla loro legittimazione”. Sempre secondo questo documento della polizia colombiana queste mafie trasportano la cocaina raffinata in Bolivia a vari paesi con i quali fanno i loro affari e con bande criminali di altri continenti. Ci sono mafie russe, italiane, spagnole e del Medio Oriente.
Ci sono anche mafie nazionali, del posto, però, dice il documento, sono clan famigliari boliviani con contatti nella politica, giustizia e nella Polizia Boliviana. Quindi sono in secondo ordine, subordinati ed obbedienti alle grandi mafie. Anche se in questi ultimi tempi sono stati arrestati importanti narcotrafficanti locali, legati al traffico internazionale e con conoscenze ed amici nella politica, polizia e nella giustizia. Il Vice Ministro di “Defensa Social”, Jaime Mamani, ha negato che in Bolivia operino cartelli del narcotraffico, perché’ “come Stato Boliviano, c’è un controllo su tutto il nostro territorio”. Mentre l’anteriore Ministro degli Interni, Carlos Romero, affermò che nel paese c’erano emissari di cartelli internazionali per realizzare “negocios” con i narcos locali.
Luciano Invernizzi
Febbraio 2022
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